“I
romanzi non bruciano” è la frase simbolo non solo di resistenza alle censure,
ma anche di sopravvivenza al tempo. Questo è un libro da leggere assolutamente,
uno di quelli che rimane davvero, che lascia una traccia in chi lo ha letto.
Superata la difficoltà a familiarizzare con impronunciabili nomi russi, tutti
un po’ simili, appartenenti a un vasto stuolo di personaggi (molti dei quali
davvero bizzarri), a mantenere il filo degli innumerevoli e stravaganti avvenimenti
che rendono la trama complessa e intricata, e a non farsi fermare dall’ostacolo
di una sintassi non agevole, ecco che si delineano stupore e meraviglia.
Bulgakov
lo chiamava “il mio libro sul diavolo” e poi, nelle varie versioni scritte fin
sul punto di morte, è diventato “Il Maestro e Margherita”. Tra l’altro
Margherita è comparsa dopo, quando il Maestro, alias Bulgakov (o viceversa) aveva già
scritto alcune stesure dell’opera. Proprio lei, figura centrale e maestosa nel
suo fascino e originalità, arriva quando l’autore sposa la sua terza moglie, Elena Šilovskaja, che evidentemente è Margherita. Il
parallelismo tra Bulgakov e il Maestro è palese se pensiamo che
anche l’autore ad un certo punto, deluso dalla critica moscovita, nell’Unione
Sovietica staliniana, dalla quale riceveva continue stroncature, arriva a bruciare la sua
opera, proprio come fa il Maestro, che dà alle fiamme la sua storia di Ponzio
Pilato. E' chiaro che l'autore si è tolto parecchi sassolini dalle scarpe con questo
libro, pubblicato però diversi anni dopo la sua morte. Ma, come è stato
detto, “I romanzi non bruciano”, così Bulgakov riscrive la sua opera, parola per
parola, e il Maestro ritrova intatto il suo manoscritto.
Dicevamo,
il libro sul diavolo. Questi è effettivamente tra i protagonisti assoluti, ma
non immaginatevi storie horror o sanguinarie, per quanto più di una persona in
queste pagine faccia davvero una brutta fine, addirittura fin dall’inizio, ma
questo romanzo non è nulla di tutto ciò. Spesso fa ridere e diverte, e sembra
più un clima festoso di circo, con nani e ballerine. La sballata corte dei
miracoli che segue Woland è un po’ così, personaggi stravaganti e sconnessi (il
gatto nero Behemot che parla e cammina, il bizzarro maggiordomo Korov.ev,
l’assassino con l’osso nel taschino Azazello e la cameriera Hella con una
cicatrice nella gola) che si divertono a tirare colpi mancini per tutta la
città causando grave sgomento e seri danni, addirittura facendo perdere il
senno a molti che hanno avuto la sfortuna di imbattersi in loro. Se di questo
libro si facesse un film, lo vedrei ideale con la regia di Tim Burton: stesse
atmosfere trasognate, divertite e surreali. Se si traducesse in pittura,
sarebbe quella di Chagall.
Torniamo
a noi: chi è Woland? Si presenta fin da subito nei panni di un misterioso professore
straniero, specializzato in magia nera e ipnosi, e si intromette nei discorsi di due
cittadini moscoviti, Michail Alekesandrovic Berlioz e Ivan Nikolavevic Ponyrev
detto Bezdomny, appartenenti all’intellighenzia ufficiale, ritrovatisi una sera
presso gli stagni Patriarsiie. Il titolo del capitolo è “Non parlare mai con
sconosciuti”, e già da questo capiamo che le cose non andranno a finire bene
per i due. Ecco come si svolge il dialogo:
“Se non ho sentito male, lei stava
dicendo che Gesù non è mai esistito?” chiese cortesemente lo straniero. “No,
non ha sentito male” disse Berlioz. “Ah, com’è interessante!, e, scusate se
sono importuno, voi oltretutto non credete neppure in Dio? – fece gli occhi
impauriti e aggiunse – giuro che non lo dirò a nessuno”. “Sì, noi non crediamo
in Dio, siamo atei – rispose Berlioz sorridendo della paura del turista
straniero – ma se ne può parlare con assoluta libertà”. A questo punto il
forestiero si alzò e strinse la mano all’allibito direttore dicendo: “Permetta
che la ringrazi di tutto cuore dell’informazione che per me, viaggiatore, è
eccezionalmente interessante! – e lo straniero volse lo sguardo impaurito alle
case attorno, quasi temesse di vedere un ateo ad ogni finestra – ma ecco il
problema che mi turba: se Dio non esiste, allora, mi domando, cosa dirige la
vita umana e in generale tutto l’ordine della terra?” “L’uomo stesso li dirige”
si affrettò a rispondere Bezdomnyj irritato. “Chiedo scusa – replicò dolcemente
lo sconosciuto – ma per dirigere bisogna per questo avere un piano preciso per
un periodo di tempo almeno rispettabile. E come può dirigere l’uomo, se non
soltanto gli manca la possibilità di fare un piano anche per un periodo di,
poniamo mille anni, ma non può disporre neppure del proprio domani? Immagini
che lei, ad esempio, cominci a dirigere, a disporre di sé e degli altri,
insomma a prenderci gusto, quando improvvisamente le capita… eh… eh… un sarcoma
al polmone – e lo straniero socchiuse gli occhi come un gatto – ed ecco che
tutto il suo dirigere è finito! Nessun destino, a parte il suo, le interessa
più. I parenti cominciano a mentirle mentre lei si precipita prima dagli
specialisti, poi dai ciarlatani, se non addirittura dalle chiromanti. E alla
fine, colui che s’immaginava di dirigere qualcosa si trova a giacere in una
cassa di legno, e gli altri lo cremano in un forno. E capita anche di peggio!
Uno ha appena deciso di andare in villeggiatura, un progetto da nulla,
sembrerebbe, ma non può attuare nemmeno quello perché tutt’un tratto scivola e
finisce sotto un tram!” disse lo sconosciuto strizzando l’occhio a Berlioz, che
effettivamente aveva deciso di andare in villeggiatura.
Ovvio
che il pensiero realista e materialista della Russia della Rivoluzione è
totalmente inadeguato e persino ridicolo nel tentativo di trovare una
spiegazione a tutto quanto comincerà ad accadere di lì a poco. Il Maestro, che
dovrebbe essere il vero protagonista, fa la sua apparizione molto più avanti,
dopo che numerosi e incredibili eventi sono stati narrati non senza una certa
pungente ironia. Lo vediamo entrare furtivo di notte, nella stanza della
clinica psichiatrica dove è stato rinchiuso il povero Ivan Bezdomnyj a causa
della serie di vicissitudini che lo ha coinvolto. Anche il Maestro è ammalato
di nervi e ha deciso di farsi ricoverare perché l’opera alla quale lavorava, la
storia di Ponzio Pilato, è stata stroncata dalla critica. Nell’arco di una
notte, racconterà a Ivan la sua storia nella quale compare Margherita, un amore
improvviso e inaspettato, che ha cambiato per sempre il corso della sua vita.
Perché questo è anche un romanzo d’amore.
Quanto
c’è da dire su questo romanzo, sui suoi personaggi, sulla duplice storia che si
sviluppa, quella che si svolge a Mosca negli anni Trenta, e quella accaduta a
Gerusalemme, molti secoli prima, quando il quinto procuratore della Giudea
decide di non decidere e lascia morire Gesù. Tanto da dire anche sul mitico
appartamento n. 50 che si trova in un bel palazzo lungo la Sadovaja, in cui
Bulgakov realmente abitò tra il 1921 e il 1924, diventato luogo di culto, dove l’autore
ha ambientato buona parte del suo romanzo. Un appartamento che, grazie alla
quinta dimensione, diventa immenso e nel quale si verificano fatti
incredibili. Ma non concludo senza parlare di Margherita e del suo grande amore,
il Maestro, che lei vuole salvare al punto da fare un patto con il diavolo
accettando di partecipare come regina al gran ballo che il malefico dà nella
notte del plenilunio proprio dentro l’appartamento n. 50. Indimenticabile il
suo volo notturno, nuda e invisibile, su una città che dorme ignara, divenuta
strega grazie a una crema portentosa, mentre grida: “Sono libera!”. Antesignana
femminista e assoluta, vera anticonformista.