Arturo ed Elide sono due giovani
sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a
incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e
l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della
fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano
però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dalla voce dello
scrittore ligure.
Vale la pena riportare alcuni
passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si
carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola
neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza
nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi
conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal
condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e
del loro eterno desiderio di ritrovarsi.
“Elide era pronta, infilava il cappotto nel corridoio, si davano un
bacio, apriva la porta e già la sentiva correre giù per le scale. Arturo
restava solo. Seguiva il rumore dei tacchi di Elide giù per i gradini, e quando
non la sentiva più continuava a seguirla con il pensiero, quel trotterellare
veloce per il cortile, il portone, il marciapiede, fino alla fermata del tram.
[…] Il letto era come l’aveva lasciato Elide alzandosi, ma dalla parte sua, di
Arturo, era quasi intatto, come se fosse stato rifatto allora. Lui si coricava
dalla propria parte, per bene, ma dopo un po’ allungava una gamba in là, dove
era rimasto il calore di sua moglie, poi ci allungava anche l’altra gamba, e
così a poco a poco si spostava tutto dalla parte di Elide, in quella nicchia di
tepore che conservava ancora la forma del corpo di lei, e affondava il viso nel
suo guanciale, nel suo profumo, e s’addormentava”.