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Le ateniesi, di Alessandro Barbero



Lo confesso: seguo il prof. Barbero, le sue appassionate conferenze pubblicate su YouTube e dai Podcast, lo apprezzo quando interviene nelle trasmissioni di storia su Raitre per il suo entusiasmo e la chiarezza espositiva con cui coinvolge il pubblico. La storia diventa un romanzo ricco di spunti e curiosità, interessante per tutti. Insomma, un grande divulgatore con la marcia in più della simpatia. Proprio ascoltando una delle sue conferenze, vengo a sapere che non solo è uno storico, docente universitario eccetera eccetera, ma si è anche avventurato nei territori della narrativa, naturalmente con ambientazione storica. Le ateniesi è un libro che parla di donne, e anche di uomini ovviamente, ma sono loro le protagoniste in un momento storico e in un luogo, l’Atene del IV secolo a.C., dove in realtà vivevano in una condizione di pesante marginalità. In pratica, in fondo alla scala sociale, solo un po’ più su degli schiavi. Se poi si era donna e schiava, il disastro era totale! A Sparta andava un po’ meglio: qui le donne potevano studiare e praticare sport, insomma erano un po’ più emancipate, usando un termine moderno per riferirsi ad una condizione di maggiore libertà. A Sparta, però, c’era un governo oligarchico, molto diverso rispetto ai principi democratici di Atene. In quella fase storica, quando nella capitale dell’Attica la democrazia dava segni di profonda stanchezza, emergevano tutte le contraddizioni di una società consumata da guerre infinite e dalla solita, eterna lotta, tra forti e deboli, e per forti s’intendono i ricchi. I deboli non solo gli schiavi e le donne, appunto, ma anche coloro che, nonostante mantenessero lo status di cittadini, erano in condizione di povertà.

L’analisi della democrazia, vista in filigrana rispetto alla democrazia moderna, mi ha subito interessato. In più Barbero, durante la conferenza, non ha nascosto di aver ricalcato un episodio di cronaca degli anni Settanta, il terribile massacro del Circeo, dove due ragazze furono violentate e massacrate (una morì) da tre giovani rampolli dei Parioli, figli di famiglie piuttosto benestanti. Secondo il professore, è stato un orribile fatto di cronaca che ha segnato una generazione, maturato in un certo contesto culturale e politico di quegli anni. Si era palesata brutalmente la prepotenza di coloro che si ritenevano per diritto i padroni nei confronti del popolo, di cui quelle povere ragazze erano espressione e che consideravano prede, verso le quali non mostrarono alcuna pietà. Ecco che scatta il collegamento: nell’antica Atene le donne, soprattutto se povere o addirittura schiave, erano alla mercé degli uomini.

Queste premesse si intrecciano con un altro filone nel romanzo, una riscrittura in prosa della Lisistrata, commedia di Aristofane in cui quel mondo, il mondo di Atene, sembra ribaltarsi. Tutte le donne della Grecia un giorno prendono il potere e decidono di usare le uniche armi che hanno: fanno lo sciopero del sesso per obbligare gli uomini a fermare la guerra. E’ solo una commedia, certo, ma attraverso di essa vediamo specchiarsi la società ateniese di quegli anni, quando covava la tentazione della tirannia da parte di coloro che si ritenevano i “migliori”. Barbero si diverte e mettere in scena la Lisistrata, in una versione fedele, che oggi ci appare molto scurrile, con continui riferimenti sessuali espliciti e doppi sensi, fermo restando che la donna rimane un oggetto fino a quando decide di usare quell’arma per ottenere in cambio la pace. Onore alle donne. Nel frattempo, però, si consuma la tragedia: due fanciulle del popolo cadono nella trappola di tre terribili rampolli ricchi che le sottopongono a ogni genere di sevizia. La descrizione delle violenze è insopportabile, pesantissima, e si alterna alla commedia che gli ateniesi stanno seguendo nell'anfiteatro. Non dico nulla di più se non che ci rimane la denuncia dell’atavica violenza sulla donne e anche qualche appunto sui limiti della democrazia, che però rimane evidentemente la scelta più giusta.

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