Ammetto che la scelta del libro è dovuta alla curiosità sulla biografia dell’autore, protagonista di un caso di cronaca nera: accusato di omicidio, processato e diventato latitante; è seguita la revisione del processo e, infine, la grazia. Non intendo entrare nel merito di questa dolorosa vicenda privata, ma inevitabilmente è venuta una domanda: quanto ha influito l’esperienza personale dell’autore nella scrittura di un libro definito “oltre il noir”?
In generale, chi scrive mette se stesso e la propria esperienza di vita nella scrittura, anche se rielaborata dalla fantasia. Nella teoria, il noir è un genere che ha come obiettivo il coinvolgimento del lettore di un clima di crescente suspense. Questo romanzo non ha la struttura del giallo (o poliziesco), in quanto questo genere, nella sua versione classica, prevede che la trama venga abilmente costruita modificando l’ordine logico-cronologico dei fatti per tenerci con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, quando finalmente si scopre chi è l’assassino. Qui, invece, lo sappiamo fin da subito, seguiamo gli avvenimenti man mano si svolgono e non c’è nessun mistero da svelare, nessun caso da chiarire. Nessuna suspense. Cosa s’intende, dunque, con la definizione “oltre il noir”?
Siamo di fronte al lato oscuro e criminale della società, come si legge nel retro di copertina? Il lato oscuro è il disinteresse da parte delle forze dell’ordine a mettere ordine, ovvero a cercare di fare luce sui fatti? Non si cerca la verità ma la si vuole costruire per darla in pasto alla stampa, anzi si preferisce sia la stampa, con la giuria del popolo mediatico, a costruirsi la verità che più gli piace. Tutto questo lo scrittore lo dice, lo enuncia più che mostrarlo. La sua è una dichiarazione senza controparte. In questo caso mi è parso che la motivazione che ha fatto scattare il meccanismo della narrazione sia il trauma personale. Tutto ruota attorno a questo concetto: la verità non interessa a nessuno e questo costringe le persone a fuggire perché vittime del sistema.
La protagonista è una donna costretta a fuggire; in primo piano c’è anche un attore porno sulla via del tramonto, che la signora va a trovare tutti i martedì dalle 15 alle 16 per fare sesso (il perché di questa precisa ossessione non viene svelato) e un travestito che gestisce una pensione, l’Hotel Lisbona, diventata l’approdo di fuggitivi e sognatori disancorati dalla vita, sempre in balìa di tempeste. Personaggi che, quando ho scelto il libro mi avevano incuriosito, ma la loro costruita eccentricità non aiuta a renderli credibili. L’unica cosa che pare interessare l’autore è gridare che la giustizia non esiste, che la polizia non cerca la verità, che la stampa è affamata di scoop e non si fa scrupolo a distruggere la vita delle persone, che i social servono ad amplificare lo spettacolo di fronte al tribunale del popolo (anche se i social non hanno alcun ruolo nella storia). E’ vero, certo, che esiste un tipo di pseudogiornalismo disposto a speculare pur di fare audience, ma il ritratto del giornalista che si permette di chiamare una persona “cagna” è fuori dalla realtà, frutto di un giudizio aprioristico a tratti fastidioso. E allora rispondo alla domanda iniziale: la biografia dell’autore non solo ha influito, ma è stata fin troppo invadente.