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MOON DAY, 50 anni dopo



Astolfo era andato sulla Luna per recuperare il senno di Orlando e trova anche altre cose “perdute” dagli uomini, come le lacrime e i sospiri degli innamorati. Leopardi ha cantato la Luna, così come Baudelaire, Shakespeare e altri poeti, compresi i Futuristi quando hanno “ucciso il chiaro di Luna”. Il cinema ha fantasticato sul nostro satellite, rimasto un grande sogno fino all’allunaggio nella notte tra il 20e il 21 luglio di 50 anni fa, quando i due astronauti Armstrong e Aldrin hanno messo piede sul famoso “Mare della tranquillità”, così era stata chiamata quella porzione di terra nella quale sarebbe scesa la prima navicella umana, mentre il terzo pilota Micheal Collins continuava a orbitare intorno al satellite sentendosi l’uomo più solo dell’universo. Sulla Terra si stava festeggiando, almeno sul lato Occidentale, perché dall’altra parte della cortina di ferro i Russi rosicavano, battuti nella corsa spaziale in piena Guerra Fredda. Hollywood ha contribuito a costruire l’enfasi mediatica intorno all’evento dello sbarco sulla Luna (il missile Apollo 11 partiva sullo sfondo di un suggestivo tramonto nel cielo della Florida) mentre in Italia la Rai si metteva alla prova con una storica diretta durata più di 30 ore condotta da Tito Stagno e Ruggero Orlando. Lo stesso countdown è stato inventato per creare l’atmosfera giusta. Un clima di attesa e di speranza per un futuro dove tutto sarebbe stato possibile. In realtà, una volta sbarcati sulla Luna, l’interesse verso le missioni spaziali è andato perdendosi: la scienza e la tecnologia, quindi gli investimenti verso la ricerca, si sono contrati sul altri fronti.
Non ero ancora nata quando l’uomo è arrivato sulla Luna, ma la grande emozione che questo evento aveva generato mi è stata raccontata e naturalmente ho visto i filmati dell’epoca. Mi emoziono oggi, nell’anniversario dei 50 anni, perché una casualità mi avvicina personalmente a questo storico episodio: mia figlia proprio oggi si trova a Cape Canaveral, il luogo da cui è partita la missione spaziale, grazie ad una gita organizzata in occasione di una vacanza studio in Florida. Una suggestiva coincidenza anche per i nonni, che all’epoca non erano ancora nemmeno genitori e guardavano l’allunaggio con occhi sgranati come tutti nella piccola televisione in bianco e nero. Se qualcuno gli avesse detto che esattamente mezzo secolo dopo la loro nipote si sarebbe trovata esattamente in quella base della NASA, cosa avrebbero provato? Chissà che futuro immaginavano allora. Non saprei dire se il presente li ha sorpresi in positivo o delusi. Non lo sanno neanche loro, perché il futuro sorprende sempre e in ogni caso. L’uomo non è stato più particolarmente interessato allo spazio: ha, invece, compiuto passi da giganti nella medicina, nelle telecomunicazioni, è arrivata la rivoluzione di internet. Si sono aperte frontiere impossibili da immaginare, anche se qualche artista illuminato come Orwell un vago sentore lo ha avuto, ma credo che da quella notte qualcosa di importante sia davvero successo. E’ cambiato il nostro punto di vista: per la prima volta non si guardava la Luna dalla Terra ma la Terra dalla Luna. E’ come se con quello sbarco gli uomini avessero scoperto la Terra. Uno sguardo stupefatto: allora noi abitiamo proprio lì, su quel pianeta azzurro, sospeso nel vuoto dell’universo. Forse ci siamo resi anche conto della sua, della nostra fragilità e ne abbiamo avuto paura. Forse era meglio non saperlo, fare finta di niente, perché a quanto pare la lezione non è servita e ancora oggi non riusciamo ad averne cura.

Concludo con i versi del mio poeta preferito:
“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
[…]”
Canto notturno di un pastore errante, Giacomo Leopardi

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