La parabola dell’Isola di Pasqua
come metafora di un mondo che si autodistrugge. Così apre Zagrebelsky il suo
libro intitolato “Contro la dittatura del presente”, la stessa che ha
raccontato in piazza Grande a Modena durante il Festival Filosofia a settembre
del 2015, ovvero sul vivere il presente come se non ci fosse un domani, senza
pensare alle generazioni che verranno; consumare le risorse, di qualunque tipo,
che siano alberi o denaro, senza prendersi impegni con chi ci sarà dopo di noi.
Una scelta che porta alla distruzione del futuro. Generazioni onnivore che
cannibalizzano ogni cosa lasciando ai propri figli una terra nuda: immagine
estrema, incarnata dalla storia dell’Isola di Pasqua, inizialmente ricca e
fertile, diventata poi vuota e sterile in misura proporzionale alla grandezza dai
celebri monoliti dei Moai che decantavano il potere. L’isola di Pasqua come la
terra e i suoi dodici clan che interagiscono tra loro come facciamo noi nel
nostro mondo globalizzato. Questo per introdurre la riflessione sul tema della
democrazia, sul suo significato dall’antica Atene di Pericle, passando per
alcuni dei più importanti teorici della politica, come Tocqueville e Rousseau, ad oggi senza intenti storiografici ma per capire dove siamo arrivati e cosa
s’intende per post-democrazia: la degenerazione di questa forma della politica
(la democrazia, appunto) tradotta in mutazioni oligarchiche. Perché
l’evoluzione della democrazia è strettamente legata al tema delle oligarchie in
quanto “i grandi numeri, una volta conquistata l’uguaglianza […] hanno bisogno
dei piccoli numeri” per governare. Oggi questa mutazione porta la finanza a
governare in un sistema che lega denaro e potere creando una classe dirigente
di “tecnici” e una spirale degenerativa in cui le spinte sociali e la rappresentanza
reale non sembrano contare più. Un saggio ricco di spunti che fa riflettere
sull’identità dell’Europa e sull’idea del nostro futuro in un momento di così
grande disorientamento.
Arturo ed Elide sono due giovani sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dall a voce dello scrittore ligure. Vale la pena riportare alcuni passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e del loro eterno desiderio di ritrovarsi. “