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Tre uomini in bicicletta, di Paolo Rumiz (Altan e Emilio Rigatti)


Una prosa colta, raffinata eppure leggera, che a me ricorda quella di Calvino per la ricercatezza e precisione del lessico ma anche per la lievità, lo stile asciutto. Una narrazione per raccontare un viaggio che si fa esperienza esistenziale: “Tutta la vita si riversa in strada, irradia un’energia che divora se stessa e talvolta implode con quell’imprevedibilità che fa dei Balcani i Balcani”, scrive Rumiz. Pur partendo dalla descrizione di un percorso, anche dal punto di vista tecnico, che comincia a Trieste e arriva a Istambul, questo diventa un itinerario a tre dimensioni, a cui si aggiunge la profondità. Un viaggio anarchico, antiglobale, pacifista, in terre di fatto sconosciute, attraversate poco dopo l’uscita dalla guerra. Bello quando descrive la Vukovar post-bellica a partire dalle rondini: “Sono venute a decine di migliaia, ad abitare uno per uno i buchi fatti dai kalashnikov nei muri. Una rondine per ogni bossolo, che rivincita della vita!”. Un viaggio in controtendenza, cioè verso Oriente, da dove la gente scappa (quanto è ancora attuale a dieci anni di distanza!), per abbattere pregiudizi e stereotipi. 
Il mezzo di trasporto è centrale: la bicicletta, che permette di cogliere aspetti che altrimenti andrebbero perduti, sia fuori che dentro i viaggiatori. “Infinite sono le esperienze alternative che la bicicletta riesce a sintetizzare. C’è il viaggio come leggerezza, come nomadismo esistenziale… Il viaggio come moviola di immagini”. E, ancora, “E’ il trasporto veloce che svuota il viaggio di senso e, non facendoci vedere nulla, rende lontani i luoghi vicini… Nel nostro andare, il senso del contesto e del paesaggio aumentava. Il desiderio della meta aveva fatto crescere le cupole dorate di Bisanzio a un punto tale che avevano invaso tutto l’orizzonte”.

I tre amici protagonisti e autori innamorati delle due ruote di mestiere fanno il giornalista (Rumiz), il vignettista (Altan) e l’insegnante (Rigatti). Quest’ultimo si è occupato delle note tecniche: percorsi, distanze, tempi, informazioni sul tipo di tracciato, dati pratici utili a chi volesse intraprendere un’esperienza del genere. Altan ha interpretato l’avventura della mitica Diagonale del Bosforo attraverso le sue vignette, accompagnando le diciotto tappe del tragitto lungo duemila chilometri che Rumiz ha raccontato da giornalista-scrittore in altrettanti testi. Il suo diario di bordo è stato pubblicato a puntate sulle pagine di Repubblica e successivamente raccolto in un unico volume. E lo spirito giocoso, ma mai superficiale, che accompagna tutto il percorso come la narrazione è perfettamente sintetizzato nella vignetta della prima tappa, con una donna che si rivolge al marito vestito da ciclista: “Dove vai?”, gli chiede. E lui: “A portare a spasso il bambino che è in me”.

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