Una
prosa colta, raffinata eppure leggera, che a me ricorda quella di Calvino per la
ricercatezza e precisione del lessico ma anche per la lievità, lo stile
asciutto. Una narrazione per raccontare un viaggio che si fa esperienza
esistenziale: “Tutta la vita si riversa
in strada, irradia un’energia che divora se stessa e talvolta implode con
quell’imprevedibilità che fa dei Balcani i Balcani”, scrive Rumiz. Pur
partendo dalla descrizione di un percorso, anche dal punto di vista tecnico,
che comincia a Trieste e arriva a Istambul, questo diventa un itinerario a tre
dimensioni, a cui si aggiunge la profondità. Un viaggio anarchico, antiglobale,
pacifista, in terre di fatto sconosciute, attraversate poco dopo l’uscita dalla
guerra. Bello quando descrive la Vukovar post-bellica a partire dalle rondini:
“Sono venute a decine di migliaia, ad
abitare uno per uno i buchi fatti dai kalashnikov nei muri. Una rondine per
ogni bossolo, che rivincita della vita!”. Un viaggio in controtendenza,
cioè verso Oriente, da dove la gente scappa (quanto è ancora attuale a dieci
anni di distanza!), per abbattere pregiudizi e stereotipi.
Il mezzo di trasporto è
centrale: la bicicletta, che permette di cogliere aspetti che
altrimenti andrebbero perduti, sia fuori che dentro i viaggiatori. “Infinite sono le esperienze alternative che
la bicicletta riesce a sintetizzare. C’è il viaggio come leggerezza, come
nomadismo esistenziale… Il viaggio come moviola di immagini”. E, ancora, “E’ il trasporto veloce che svuota il viaggio
di senso e, non facendoci vedere nulla, rende lontani i luoghi vicini… Nel
nostro andare, il senso del contesto e del paesaggio aumentava. Il desiderio
della meta aveva fatto crescere le cupole dorate di Bisanzio a un punto tale
che avevano invaso tutto l’orizzonte”.
I
tre amici protagonisti e autori innamorati delle due ruote di mestiere fanno il
giornalista (Rumiz), il vignettista (Altan) e l’insegnante (Rigatti).
Quest’ultimo si è occupato delle note tecniche: percorsi, distanze, tempi,
informazioni sul tipo di tracciato, dati pratici utili a chi volesse
intraprendere un’esperienza del genere. Altan ha interpretato l’avventura della
mitica Diagonale del Bosforo attraverso le sue vignette, accompagnando le
diciotto tappe del tragitto lungo duemila chilometri che Rumiz ha raccontato da
giornalista-scrittore in altrettanti testi. Il suo diario di bordo è stato
pubblicato a puntate sulle pagine di Repubblica e successivamente raccolto in
un unico volume. E lo spirito giocoso, ma mai superficiale, che accompagna tutto
il percorso come la narrazione è perfettamente sintetizzato nella vignetta
della prima tappa, con una donna che si rivolge al marito vestito da ciclista:
“Dove vai?”, gli chiede. E lui: “A portare a spasso il bambino che è in me”.