Leggere
questo libro è un po’ come vedere un film in televisione (neanche al cinema),
una sera qualunque della settimana, quando si è anche stanchini e viene da
sonnecchiarci in mezzo. Intreccio e personaggi giusti giusti per il soggetto di
un film stucchevole e senza troppe pretese. Gli ingredienti ci sono: amore,
morte, tradimenti, malattie, ma anche quel tocco fantastico che non guasta e
che si materializza con i viaggi nel tempo della protagonista provocati dalla
terapia elettroconvulsiva a cui si sottopone per curare una forma
particolarmente acuta di depressione. Partiamo da un cupo 1985, in uno scenario
di solitudine e desolazione in seguito alla morte (per AIDS, malattia mai
pronunciata ma descritta come una specie di peste epocale) dell’amato fratello
gemello Felix e all’abbandono del compagno Nathan. In men che non si dica,
troviamo la nostra Greta Wells nel 1918: qui, tra i festeggiamenti per la fine
del primo conflitto mondiale, si lascia andare ad una relazione extraconiugale
con il giovane Leo, dopo essersi scoperta sposata ad un Nathan lontano per via
della guerra. Poi, ancora un balzo, e rieccola nel 1941, di nuovo moglie, ma
inaspettatamente anche madre devota alla famiglia. Felix è vivo in entrambe
queste vite parallele, con la sua omosessualità che emerge, mentre zia Ruth (e il suo alter ego, la signora Green) è l’unico
riferimento di Greta: è presente anch’essa in una delle nuove dimensioni
esistenziali, le è complice e non batte ciglio quando lei le racconta di
viaggiare nel tempo, dando prova di una sorprendente audacia immaginativa.
Mentre continuano i salti temporali, la fanciulla vive le tre vite
parallele, scoprendo affinità con le sue alias e sconosciuti lati di sé, che la
porteranno a scegliere chi realmente essere e quale vita vivere.
Mi
assale anche il dubbio che, almeno a livello di forma, qualcosa sia andato
perso in fase di traduzione e di editing in italiano, o magari è solo una speranza.