Tutto avevo messo in conto, meno
che la felicità. Questa frase semplicemente bella chiude il secondo libro
dedicato a Tony Pagoda di Paolo Sorrentino, che mi ha divertito, commosso,
fatto riflettere, stupito per la felicità con cui mi è arrivato, nonostante il
protagonista sembri tutto, fuorché felice. Eppure il tema della felicità, della
sua ricerca mai banale, ma soprattutto quello della bellezza, attraversa tutte
le pagine e riecheggia il film, quello dell’Oscar, nelle sue parti migliori.
La presentazione che ne fa l’ex
cognato, tale Ughetto De Nardis, già gli conferisce lo spessore che merita: “Tu
non ce l’hai la tempra intellettuale per innamorarti di un unico concetto per
tutta la vita”, dice rivolgendosi direttamente a lui. Pagoda, cantante
neomelodico ormai ai margini del palcoscenico, è l’uomo delle intuizioni
imprevedibili, che parte dalla superficie delle cose per arrivare a sfiorare
per un attimo un abisso profondo, per nulla scontato. Filosofo improvvisato di
una morale differente, in bilico tra la risata e la lacrima, forte dello scudo
dell’ironia. Basti citare i dieci motivi per cui vale la pena vivere, secondo
Tony:
1. L'ebbrezza impagabile di andare a letto esclusivamente
con le donne degli altri.
2. Provare a vivere onestamente, non riuscirci, e dire con
soddisfazione: però ci ho provato.
3. Tornare a casa infelici e inermi, ma privi di sensi di
colpa.
4. Constatare, con un sorriso, che il down è stato inferiore
al picco d'eccitazione procurato dalle droghe e dall'alcol.
5. Decapitare, con una sciabola antica, le teste di tutti i
genitori ossessionati esclusivamente dall'educazione dei figli.
6. Infilare la testa sotto le coperte dopo aver praticato, a
intervalli regolari, la nobile arte dell'aerofagia.
7. Incontrare per strada persone che si conoscono, guardare
loro dritto negli occhi, e non salutarli.
8. Dubitare dell'intelligenza delle persone considerate
unanimamente intelligenti.
9. Scoprire, ma purtroppo non accade mai, che tutti stanno
complottando contro di te.
10. Gli occhi asciutti delle madri.
Attraverso di lui, rileggiamo il presente con
occhi disincantati e privi di inibizioni, e vediamo scorrere alcuni personaggi
reali del mondo dello spettacolo e quelli che hanno fatto della vita il loro
spettacolo. Una scusa per parlare di tanto altro, di cercare il senso del
tutto, la bellezza nascosta chissà dove. Ad esempio, nelle mani affusolate del
mago Silvan, che continua a chiudersi nella sua stanza colma di colombe, mazzi
di carte, uova e cappelli, per regalarci il sogno dell’arte della magia, sordo
a tutta la decadenza circostante, oppure tra gli alberi della pineta di Castel
Volturno, un pomeriggio durante l’allenamento del Napoli, nella saggia
compostezza del Pocho Lavezzi, nelle geometrie sul campo di Campagnaro, nella
forza dirompente della giovinezza che si materializza nel calcio ad un pallone
e in una risata. Saper ancora ridere, su questo si interroga il vecchio Tony in
vacanza sull’isola di Stromboli, ed è ciò che rimpiange di più. Vediamo Carmen
Russo e Enzo Paolo Turchi confinati nel loro riserva domestica, Antonello
Venditti in una Roma bella e decadente (quella del film), le dolorose
solitudini di Loredana Bertè e Albano in un albergo di San Remo, la piccolezza
del politico “Fabietto” e di Ruby, vecchia diciottenne nel tritacarne della
volgarità imperante. Cosa si (ci) salverà?
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