Niccolò Ammaniti non finisce di
stupirmi. Dopo aver letto “Io non ho paura”, toccante storia del rapimento di
un bambino, e “Ti prendo e ti porto via”, romanzo di solitudine e destini
segnati, questo libro spiazza per il cambio di registro.
E’ l’Italia fatta a pezzi in una
sfrenata e ironica Apocalisse, quella di una mondanissima festa romana, tanto
megalomane e sontuosa, quanto ridicola e kitsch, nella cornice di Villa Ada
trasformata in una giungla piena di animali esotici comprati in circhi bulgari
e caricature di celebrità presenzialiste e impasticcate. Una sorta di fine
impero, specchio di questi tempi. Viene in mente il recente film di Paolo
Sorrentino, “La grande bellezza”, dove Roma appare vip e sfrenata, che si
abbandona agli eccessi per sfinimento.
La festa di Ammaniti è raccontata
seguendo le vicende di personaggi che sono lì per motivazioni piuttosto
bizzarre: chi per commettere un omicidio e riscattarsi da una vita insulsa, chi
per trovare una donna da portare a Maiorca e ritrovare l’ispirazione perduta.
E’ piacevole l’ironia dello
scrittore nei tratti in cui descrive questi personaggi e le situazioni che
vivono, come le riunioni della setta satanica Le Belve di Abaddon in una pizzeria, la frustrazione del
loro capo Mantos, che mentre immagina di uccidere la cantante Larisa pensa ai
mobili tirolesi del suocero; gli atteggiamenti meschini e patetici dello
scrittore Fabrizio Ciba, che vive della gloria passata e alterna manie di
grandezza a pietose cadute di stile. Poi, ad un certo punto, il romanzo diventa
un fumetto. Questo ennesimo cambio di registro, tra l’altro a metà libro,
spiazza per l’ennesima volta. Qui, invece, ricorda "Dal tramonto all'alba" di Quentin Tarantino. Peccato. Nonostante ciò, bravo: il libro si legge tutto d'un fiato!