Giorno della Liberazione passato con “Le notti bianche” di Dostoevskij, romanzo breve letto in edizione economica. La panchina sul lungofiume di una deserta Pietroburgo e la mia sedia sdraio davanti ad un solitario panorama montano, in compagnia del sognatore e delle sue paranoiche confessioni notturne fatte ad una bizzarra fanciulla in attesa del ritorno del suo innamorato. Uno scorcio di vita appena sfiorato e subito perso, per un uomo incapace di vita pratica. Ed è vero: l’umanità si divide in chi vive perfettamente in sintonia con la vita, senza filtri, e in chi ne è distante e non riesce ad accordarsi con essa. Chi è in contatto diretto con il proprio respiro, e chi vive pensando che sta respirando.
Arturo ed Elide sono due giovani sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dall a voce dello scrittore ligure. Vale la pena riportare alcuni passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e del loro eterno desiderio di ritrovarsi. “