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Nemesi, di Philiph Roth



Un romanzo potente, come tutti quelli di Roth, sul senso di colpa. Non è stato facile leggere Nemesi nel periodo in cui si attraversa un'epidemia, in questo caso quella del Covid 19, ma non è una fatalità che abbia scelto proprio questo libro. Volevo indagare il tema dell'epidemia e invece mi sono trovata dentro l'abisso del senso di colpa. Si, c'è anche Dio in sottofondo, o meglio Dio non c'è se permette tutto questo orrore, è una divinità crudele e insensata che uccide o paralizza bambini. Oppure semplicemente Dio non c'entra. La vera domanda riguarda il perché, cerca di individuare il senso della realtà, la causa di tutto:
"Bucky non riusciva ad accettare che l'epidemia di polio fra i bambini di Weequahic e nel campo di Indiana Hill fosse stata una tragedia. Doveva trasformare la tragedia in colpa. Doveva trovare una necessità a quanto accaduto. C'è un'epidemia e lui ha bisogno di trovarne la ragione."

La tentazione di trovare una colpa quando si diffondono epidemie letali è antica come la storia. La nemesi è, appunto, la vendetta riparatrice che compensa il peccato di cui ci si è macchiati. Anche questo 2020 , nonostante l'evoluzione tecnologica e i progressi della medicina, sembra porre le stesse ancestrali domande: perché? A quale colpa dobbiamo porre rimedio? L'avidità di un sistema economico che ha creato ingiustizia e disuguaglianze? La rottura degli equilibri della natura?

Sul libro non aggiungo altro se non quello che si può leggere sul retro di copertina, perché questo è un romanzo da leggere: "Estate 1944. Nel caldo annichilente di una Newark equatoriale il ventitreenne Bucky Cantor, un animatore del campo giochi che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi, è costretto a combattere la sua guerra privata contro una una spaventosa epidemia di polio [...]".
Ognuno cerchi il proprio perché.

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