Un romanzo di formazione che, onestamente, non ha la forza
dei precedenti lavori della stessa autrice. Crescere per diventare cosa, per
assomigliare a chi? Sempre Napoli come cornice, affascinante e duplice: c’è un
sopra e un sotto, un “alto” e un “basso” che si mescolano pur nella loro
diversità. I personaggi non sono convincenti, la trama mi pare flebile. Rimane
la scrittura e la capacità di descrivere emozioni e stati d’animo in modo acuto
e sensibile. Il tema dell’ipocrisia della vita dei grandi di fronte allo
sguardo di un’adolescente che sta cercando la propria identità è un terreno d’esplorazione
di grande interesse.
Arturo ed Elide sono due giovani sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dall a voce dello scrittore ligure. Vale la pena riportare alcuni passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e del loro eterno desiderio di ritrovarsi. “