Ho iniziato a leggere Murakami perché ne ho sentito parlare come di un raffinato autore per palati fini. L’uccello che girava le viti del mondo, un titolo che mi ha incuriosito. Un uomo sui 30 anni decide di licenziarsi e per un periodo si dedica alle attività domestiche mentre la moglie lavora. Ad un certo punto si accorgono di avere perso il gatto e il protagonista lo cerca per il quartiere incontrando strani personaggi. Lui e la moglie discutono: lei si lamenta perché il marito ha cucinato peperoni senza ricordarsi che li detesta. Per non parlare della carta igienica con i disegni: lei la odia. Poi arrivano strane telefonate, incontra per caso donne curiose che in qualche modo c’entrano con il gatto. Questo è solo l’inizio. Entusiasmante? Per me è noia mortale, una lettura assolutamente soporifera: lingua piatta e monocorde, descrizione minuta di troppi dettagli insignificanti di un’apparente, banale normalità di cui mi sfugge il senso. Troppo zen? Ti aspetti che succeda qualcosa, invece niente. Puro stile nipponico? Estetica minimalista, pulizia formale e atmosfere vagamente inquiete dietro l’apparente quotidianità? Qualcuno lo ha definito realismo magico. Siamo sicuri non sia solo sopravvalutazione? Comunque va riconosciuta l’astuzia dei titoli, anche quelli dei capitoli, accattivanti, capaci di incuriosire. Ma quando si inizia a leggere, il libro si fa un’enorme mole. Sarà improbabile arrivare all’ultima di queste 740 scritte fitte fitte. Anzi impossibile, per quel che mi riguarda.
Arturo ed Elide sono due giovani sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dall a voce dello scrittore ligure. Vale la pena riportare alcuni passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e del loro eterno desiderio di ritrovarsi. “