Mi
incuriosiva l’idea di un romanzo avvincente su sfondo storico, ed in
particolare il Quattrocento fiorentino con la famiglia dei Medici come
protagonista. Cospirazioni e intrighi nel periodo del Rinascimento potevano
essere ingredienti giusti per costruire una trama appassionate. Vincitore del
Premio Bancarella, prometteva bene, peccato che la lettura si stia trascinando
a fatica. E non per la complessità del testo, che è decisamente abbordabile per
chiunque abbia almeno la quinta elementare, ma per la banalità delle situazioni
e dei protagonisti, imprigionati in fastidiosi stereotipi: Cosimo,
intelligente, abile nel muoversi in un contesto di intrighi e corruzione, ma
buono nell’animo, buono come lo sono i personaggi delle favole, dove è tutto
bianco e nero; Contessina, la moglie innamoratissima, sposata non per ragioni
di potere o scelte famigliari ma per amore vero, puro, pronta a dare la vita
per il suo uomo; il fratello Lorenzo, anche lui dalla parte dei buoni, non
proprio in gamba come Cosimo, però una spalla su cui contare... E dall’altra
parte i cattivi: in primis Rinaldo degli Albizzi, corruttore, violento,
malvagio, temuto da tutti, che usa le donne senza rispetto, in particolare
Laura, la cui bellezza oscura, quasi demoniaca, forgiata da un’infanzia di abusi,
sembra orientata al male. Naturalmente sono i nemici giurati dei nostri
protagonisti, i Medici, che invece sono persone ancorate ai valori importanti,
quelli che contano davvero, come la famiglia e gli affetti, che amano l’arte e
sono i veri mecenati di Firenze. Cosimo ha certamente contribuito a creare quelle bellezze artistiche che
ancora oggi possiamo ammirare nella città toscana, soprattutto la cupola di
Santa Maria del Fiore, realizzata da Filippo Brunelleschi, personaggio che
incontriamo nel libro e sembra appartenere ad un’altra dimensione, tanto è
preso dalla sua opera che diventa persino immune alla peste che attraversa come
una mannaia la città. Ad infastidirmi di più sono le figure femminili di questo
romanzo, rappresentate nella piatta ambivalenza di bellezze dannate, capaci di
usare la seduzione per manipolare gli uomini, oppure come mogli devote e
innamorate. Donne demoniache o donne angelo. In entrambi i casi, sono al servizio dei protagonisti maschili che
primeggiano. Non si tratta, certo, di considerazioni di stampo vetero-femminista
e il punto non è nemmeno la veridicità storica, che confermerebbe la condizione
di subalternità femminile del periodo, ma piuttosto l’evidenza disarmante della banalità
dei personaggi e delle loro storie.
Arturo ed Elide sono due giovani sposi, entrambi operai, e a causa dei turni di lavoro sfasati non riescono a incontrarsi che per brevi attimi ogni giorno, quando uno entra in casa e l’altro sta per uscire. La loro vita è, dunque, scandita dagli orari della fabbrica, caratterizzata da azioni abitudinarie e ripetitive che si caricano però di struggente intensità, garbatamente colta e acutamente espressa dall a voce dello scrittore ligure. Vale la pena riportare alcuni passi in cui la descrizione realistica di piccole azioni e gesti quotidiani si carica di un phatos commovente e persino drammatico, come in una pellicola neorealista. L’intensità dei fuggevoli sguardi, le piccole carezze, la presenza nell’assenza, i sentimenti trattenuti, non possono lasciare indifferente chi conosce l’emozione dell’amore. Forse, Arturo ed Elide, imprigionati dal condizionamento del turno in fabbrica, diventano l’emblema di tutte le coppie e del loro eterno desiderio di ritrovarsi. “