Continua la storia delle due amiche, Lila e Lenù, iniziata
nel primo libro intitolato “L’amica geniale”, che prosegue in altri due volumi.
Nel secondo le vicende si sviluppano, poi escono dal rione napoletano in cui
sono nate le due protagoniste e riguardano la loro adolescenza. Il filo che
tiene legati tutti i personaggi del rione diventa una sorta di tela di ragno
nella quale, però, Lila rimane invischiata, a differenza di Lenù. La seconda,
che è la voce narrante, sembrerà sottotono rispetto l’altra, che vive una fase
di apparente splendore grazie al matrimonio con il figlio del temutissimo Don
Achille, Stefano, che assume le sembianze del pacificatore del rione:
dimostrerà una predisposizione al guadagno aprendo ben due salumerie e
investendo nel calzaturificio della famiglia di Lila. Naturalmente quel che
appare in facciata, ha un retro nascosto, tutto da scoprire. Il sontuoso
matrimonio delle sedicenne Lila con Stefano, che fa sognare e invidiare tutto
il rione, porta già in sé tutti i semi avvelenati. Lila, diventata una
splendida ragazza, torna dal viaggio di nozze vestita come una stella del
cinema, con i grandi occhiali da sole e il foulard al collo delle dive dei
rotocalchi dei primi Anni Sessanta, ma dietro la copertina la storia del
fotoromanzo è un’altra.
Lenù, che pur assiste alla trasformazione della vita
della sua amica come se si trovasse in una bolla di sapone, oscilla tra sincera
ammirazione e umiliata invidia, frustrante partecipazione e salvifico distacco.
In tutto questo stenta a trovare la propria identità, la sua posizione nel
mondo; fatica a distaccarsi dal codice del rione, dai suoi valori, che mettono
il matrimonio, soprattutto se accompagnato dalla crescita del benessere
economico, al primo posto per una donna. Nel contempo lei è già fuori dal quel
perimetro perché, a differenza delle altre ragazze del rione (compresa Lila, da
sempre apparsa come la più brava in tutto), Lenù sta studiando al liceo
classico, è una studentessa brillante a cui si prospetta l’ingresso
all’università. Lei, figlia di un dimesso portinaio e di una donna zoppa senza licenza
elementare, interrompe la catena di antenati che non avevano mai imparato a
leggere e scrivere. Un prodigo di cui quasi Lenù inizialmente non si rende
conto, che sottovaluta a confronto di quanto sta vivendo Lila. Un prodigo
dovuto anche a quel rapporto così complicato con l’amica che, invece, suo
malgrado e nonostante le capacità sicuramente molto sopra la media, non ha
potuto fare altrettanto. Perché Lila era stata fermata dalla sua famiglia, non
aveva potuto fare l’esame di ammissione alle scuole medie e da quel momento la
vita delle due amiche, pur continuando a riannodarsi, ha preso strade diverse.
Lila è rimasta intrappolata nella rete del rione, ma la sua personalità così
forte, magnetica, l’intelligenza fuori dal comune e la sua determinazione ne
hanno continuato a fare una figura unica, speciale, come fosse stata disegnata e
poi ritagliata dal foglio di carta. Oppure una specie di anomalia del sistema.
Più della metà del libro si attarda a raccontare, nei minimi
particolari, l’estate in cui Lila, accompagnata dalla madre Nunzia, dalla
cognata Pinuccia e da Lenù, verrà quasi obbligata ad un soggiorno a Ischia, per
fare quei bagni di sole e mare che avrebbero dovuto rinforzarla per aiutarla a
rimanere incinta, per far arrivare quel bambino che lei non aveva nessuna
intenzione di avere da Stefano. Quella vacanza diventa cruciale e cambierà i
destini di tutti, darà la svolta alle loro vite. I personaggi del rione – Nino
Sarratore, Rino, i fratelli Solara, Ada, Gigliola, Antonio, Pasquale, Enzo… -
si muoveranno attorno, ognuno con un ruolo sempre più definito, che contribuirà
a spingere verso il precipizio del cambiamento, perché la tela li lega uno all’altro,
rendendo le rete una trama di destini.
Anche le due protagoniste, che avranno vite molto differenti,
saranno pur sempre unite da un legame sotterraneo, che fornirà linfa vitale
all’una e all’altra. Come scrive ad un certo punto Lenù, quando rivede Lila
dopo tanto tempo: “Lei naturalmente se ne era accorta fin dal momento in cui le
ero comparsa davanti e ora stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo
vinto niente, che al mondo non c’era alcunché da vincere, che la sua vita era
piena di avventure diverse e scriteriate proprio come la mia, e che il tempo
semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni
tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il
suono folle del cervello dell’altra”.
Non voglio raccontare oltre per non guastare il gusto di
scoprire la storia, ma più di questa, al di là di questa, ciò che mi ha colpito
di questa scrittrice è la sua capacità di dare un nome alle cose, di saper
cogliere con estrema precisione e finezza di dettaglio ogni sfumatura
dell’animo; la sua sensibilità nel definire le linee dei rapporti tra le
persone, il disegno che si crea e trova un senso nell’apparente caos della
vita, quella naturale abilità nell’individuare il modo calzante per fotografare
le emozioni e le situazioni al punto che chi legge possa ritrovarsi in qualcosa
che, a sua volta, ha vissuto o provato.