Proprio nei giorni in cui finivo di leggere L’amica geniale, primo di quattro libri ormai best seller internazionali, sui giornali esce la notizia sulla vera identità dell’autrice, Elena Ferrante. Un’indagine da spy story si preoccupa di analizzare i flussi economici dalla casa editrice ad una sua traduttrice dal tedesco, di scovare i suoi acquisti immobiliari per dedurre che non può essere che lei la scrittrice del momento, che in questi anni ha fatto la scelta dell’anonimato, trovandosi uno pseudonimo che evidentemente ricalca un’altra autrice della letteratura italiana, Elsa Morante. Ma per quale motivo dobbiamo preoccuparci di sapere chi sia veramente? Cosa cambia per i lettori e quale valore aggiunto può dare una simile informazione? L’unica conseguenza è una possibile e sgradevole violazione della privacy di una persona e nulla di più. Anzi, personalmente preferisco continuare a pensarla avvolta nelle nebbie di un mistero che non importa decifrare.
Fin dalle prime righe de L’amica geniale ho immaginato una voce narrante femminile, perché solo una donna può essere in grado di andare così a fondo nell’anima di una bambina e della sua migliore amica, seguendole nell’evoluzione delle loro vite attraverso il passaggio dell’adolescenza verso la vita di giovani adulte. Scendere così in profondità e con quella limpidezza della parola significa chiarezza del pensiero, una scrittura senza orpelli né sovrabbondanze, con naturalezza e delicata precisione. Come la lettera che Lila scrive alla sua amica Elena che si trova in vacanza a Ischia, allontanandosi per un breve periodo da quel rione di Napoli dove sono cresciute, che si fa vivo nelle atmosfere e nei personaggi così ben delineati che sembrano uscire dalle pagine. Chi sia questa “amica geniale” è un gioco che prima tira da una parte e poi finisce dall’altra, in una serie di rimandi tra le due protagoniste, Lila ed Elena, tanto diverse quando complementari, che hanno bisogno l’una delle dell’altra per definire il senso e la linea delle loro vite.
Il romanzo è diviso in due parti, "Infanzia" e "Adolescenza", e comincia dalla fine, ovvero con la sparizione di una delle due quando ormai sono donne sulla soglia della vecchiaia. Il Prologo si intitola, infatti, Cancellare le tracce. Poi, con il sistema del flashback, si rimanda la pellicola tutta indietro, fino agli Anni Cinquanta, quando erano piccole bambine di un povero rione napoletano, tra le difficoltà del dopoguerra e le trame della malavita per loro non ancora percepibile. Entrambe sono intelligenti, ma di un tipo di intelligenza e di emotività molto diverse. Con la fine della scuola elementare, le loro vite prendono direzioni differenti: per ragioni economiche (e non solo) il padre di Lila, calzolaio, le impedisce di proseguire gli studi, mentre la famiglia di Lenù, pur senza capirne a pieno il valore, riesce a permettere alla figlia di continuare alla scuola media e al ginnasio. I percorsi delle due ragazzine proseguono intrecciandosi, ancor più quando intervengono le prime complicazioni sentimentali che coinvolgono, in un intreccio di amori e desiderio di migliorare la propria condizione sociale, tutti i personaggi del rione.