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L'ultima estate di Berlino, Federico Buffa e Paolo Fusca


Una storia raccontata a quattro mani: da un giornalista e commentatore sportivo, dall’inconfondibile stile narrativo, e da un esperto di storia tedesca, che ha saputo ritrovarsi e sviluppare una narrazione in linea con quella del più noto coautore. L’ambientazione è quella delle Olimpiadi organizzate a Berlino nel 1936, poco prima della catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, in un clima di attesa, in bilico tra l’abisso di ciò che sarebbe di lì a poco avvenuto e un mondo che stava mostrando i segni di un grande cambiamento, con tutte le sue contraddizioni. 
Ma lo sport ha il potere di andare oltre le ideologie, i confini nazionali, le razze, i pregiudizi… Per questo emergono storie e personaggi di una grande potenza, che si stagliano da quel contesto mettendone in luce tutte le contraddizioni. Perché questo romanzo parte dal racconto della realtà, sia pure in parte rifinita dalla fantasia per esigenze narrative, ma solo per mettere meglio in evidenza la veridicità degli eventi e delle persone di cui si racconta la storia. A partire dal protagonista, l’ufficiale tedesco Wolfgang Fürstner, responsabile dell’organizzazione delle Olimpiadi, l’evento che in quel momento intende celebrare la potenza della Germania di Hitler. Fürstner, che viene destituito proprio alla vigilia dei Giochi, quando un giornale denuncia la sua origine ebraica, è realmente esistito, mentre il co-protagonista, Dale Warren, giornalista americano inviato al seguito della delegazione olimpica statunitense, è un personaggio inventato ma assolutamente credibile, a cui dà voce Federico Buffa. Attraverso il gioco dei due punti di vista, ne esce il ritratto di un Paese e figure memorabili, come Jesse Owens, atleta statunitense di colore che stupisce il mondo vincendo 4 medaglie d’oro ma che continuerà a essere lasciato ai margini nella democratica America per il colore della sua pelle, e il maratoneta coreano Sohn Kee-chung, costretto a gareggiare per il Giappone a causa dell’invasione della Corea e che salirà sul podio più alto senza mostrare alcuna gioia. E, ancora, l’amicizia tra l’americano Owens e il suo più grande avversario sportivo, il tedesco Lutz Long, che avrebbe dovuto più di tutti rappresentare il simbolo dell’arianità e che invece pare abbia dato un aiuto al primo nelle qualificazioni per la gara di salto in lungo: un gesto di grande sportività che ha superato qualsiasi barriera di odio e aperto uno squarcio di speranza in un orizzonte così cupo come era quello, nella notte che anticipava la più grande guerra mondiale.

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