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Molto forte, incredibilmente vicino, di Jonathan Safran Foer



 

Non so ancora se finirò di leggere questo libro. Nel caso lo finisca, completerò la recensione, altrimenti rimarrà sospesa come la mia lettura. La voce del bambino che ha perso il padre nell'attentato alle Torri Gemelle del settembre del 2001 è struggente. Oskar ha 11 anni ed è chiuso nel trauma che lo ha colpito, privandolo di un padre con cui aveva un rapporto speciale, un legame che lui tenta disperatamente di mantenere anche dopo la sua morte attraverso nuove "ragioni di vita", ingenue e paradossali, come solo i bambini possono fare: trovare la serratura giusta per una chiave rinvenuta tra gli oggetti del padre e una persona di nome Black. Oskar è un bambino a suo modo geniale: si autodefinisce inventore, scienziato, collezionista, ma la sua sembra una genialità quasi autistica. E' una forma di autismo che deriva dal trauma non elaborato e da una indole surreale e poetica, che pare condividere con la nonna materna, la quale entra nel romanzo con la storia della sua vita fin dall'Europa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Ma contagia anche il nonno paterno, che Oskar non ha mai conosciuto, fuggito a sua volta dal vecchio continente, il quale comunica con gli altri solo scrivendo su un quaderno in seguito al trauma per la morte del suo grande amore. Da qui in poi, tutti sembrano affetti dalla medesima patologia mentale e parlano con la stessa voce: in questo modo il libro passa il segno e perde di credibilità, abbandonando il terreno della poetica commozione per il piccolo Oskar che vaga per New York con una chiave al collo, alla ricerca di una persona di nome Black, che forse è in grado di dargli una spiegazione, fargli capire il perché sia successo quello che è successo.

4 agosto 2014

Dovevo finirlo e sono andata avanti per pura ostinazione, almeno per un certo numero di pagine, poi qualcosa è cambiato e ora dico: ne è valsa la pena. Il libro merita, nonostante il delirio che a tratti è troppo invadente e tocca come un contagio un po’ tutti i personaggi, compresi i numerosi mr e ms Black che Oskar conosce durante la sua ricerca della serratura. Ciò che rende tutto sensato e inaspettatamente bello è che questa sua ricerca che pare impossibile, in realtà porta ad una soluzione, che nell’essere assolutamente prosaica, accende una nuova luce e riporta il libro su un piano plausibile. Naturalmente la ricerca doveva portarlo ad avvicinarsi ad un papà che non poteva essere ritrovato, se non nel recupero del rapporto con la madre, cosa che per fortuna avviene, ovviamente per una via non banale e scontata. La mamma che sembra disinteressarsi del figlio che vaga per la città con una chiave al collo, è in realtà una presenza invisibile che lo accompagna e aspetta con fiducia che lui faccia da solo il percorso che lo riporterà da lei. Una mamma che ho ammirato. Anche la coppia stramba dei nonni acquista una migliore prospettiva: lei, con le sue ansie d’abbandono, rimane una presenza costante nella vita del nipote, ma soprattutto quel nonno silenzioso che parla solo scrivendo, sparito prima della nascita del figlio, che torna quando lui muore nel disastro delle Torri. Torna sotto le mentite spoglie di un invisibile inquilino che si materializza davanti al ragazzino, lo accondiscende nei suoi progetti, fino al piano supremo: disseppellire la tomba vuota del papà. Per fare cosa? Il nonno, per mettergli dentro tutte le lettere che gli ha scritto senza mai averle spedite; il nipote, per toccare con mano la realtà. A quel punto, anche se si vorrebbe mandare indietro il tempo, si potrà solo andare avanti.

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