Il
rovesciamento di un ideale di vita, di un sogno cullato da due generazioni: la
prima che è partita dal nulla e ne ha creato le condizioni per la crescita e la
seconda che ha avuto la possibilità di andare oltre e godere delle opportunità
offerte su un piatto d’oro. Il sogno americano, la “pastorale”, si infrange
miseramente e senza un perché con la terza generazione, che avrebbe avuto tutto
estremamente facile e a portata di mano e non solo rinuncia a tutto, ma lo rifiuta
con disprezzo. Pastorale americana è il racconto di una famiglia ebrea arrivata
negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, di uno dei figli che ha
incarnato il mito delle infinite possibilità che si aprivano da lì in poi: Seymour Levov, lo Svedese, così com’era chiamato fin da ragazzo, era
alto, biondo e con un fisico perfetto, dal talento sportivo fuori dal comune,
al punto da farlo diventare davvero un eroe nella scuola e nel quartiere in cui
viveva. Una fucina di potenzialità tutte da esprimere in uno dei momenti
storici più propizi, in cui davvero tutto era possibile (o almeno sembrava
possibile).
La storia
inizia con il deludente incontro tra Zuckerman, voce narrante, e lo
stesso Svedese, entrambi oltre la sessantina. E’ Zuckerman, diventato
scrittore, che racconta la storia ripartendo dal passato, quando il suo
compagno Jerry Levov era solo il fratello dello Svedese. Ai suoi occhi, lo
Svedese di oggi è una persona banale che ha condotto
una vita assolutamente conformista, pur nella sua perfezione: è un uomo di
successo, con una bella famiglia, ricco grazie alla fabbrica di guanti
ereditata dal padre a cui si è dedicato con impegno. Niente a che vedere con il
mito che era, nulla rispetto a ciò che avrebbe potuto essere. Ma mai il
giudizio fu più sbagliato: “Lotti contro
la superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente
senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi […] La
capisci male prima di incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai;
la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro
dell’incontro e scopri ancora una volta di aver travisato. […] tutta la
faccenda è […] una sbalorditiva commedia degli equivoci”.”
Come può
l’America che si autoeleva a simbolo di virtù, del bene e della ragione
trasformarsi in un mostro che divora i suoi stessi figli? Come può nascondere
un malessere tanto profondo e non controllabile? Tolti i miti dello sport,
della guerra e delle reginette di bellezza, rimane un paese nudo, immaturo e
incapace di capirsi. Perché è accaduto all’uomo che è cresciuto nell’idea di
questa vita perfetta e ideale, che ha incarnato egli stesso questa perfezione
anche a livello di valori e comportamenti verso gli altri, generare una figlia diventata
terrorista, barbona e vagabonda, passata da una rabbia cieca verso la terra in
cui è nata a un limbo che rifiuta ogni rapporto con il suo passato e le sue
radici? E’ sufficiente spiegarlo con il particolare momento storico, la guerra
in Vietnam e la contestazione giovanile degli anni Sessanta? Oppure c’è
dell’altro? Tutto questo porterà lo Svedese ad una profonda, lacerante e
continua serie di domande sulla sua esistenza per capire dov’è stato l’errore,
da dove si è spaccato tutto. Eppure lo Svedese è colui che ha sempre fatto “la cosa giusta”, così come gli rinfaccia
spietatamente il fratello Jerry, tanto diverso da lui. Forse la crepa è partita
proprio da lì. “Credi di sapere cos’è un
uomo? – urla Jerry al telefono. - Tu
non hai idea di cos’è un uomo. Credi di sapere cos’è una figlia? Tu non hai
idea di cos’è una figlia. Credi di sapere cos’è questo paese? Tu non hai idea
di cos’è questo paese. Hai un’immagine falsa di ogni cosa.”
Ognuno ha un’immagine di sé stesso e degli altri che
però non corrisponde alla realtà. Il confronto è difficile, a volte impossibile,
fino a quando i fatti non ci obbligano a guardare in faccia la vita così com’è:
il padre non riesce a capire perché sua figlia Merry è diventata quella che è,
come sia nato un essere tanto diverso da lui e sua moglie. Lo Svedese ha
passato la vita a cercare di tenere insieme tutto, a fare ciò che gli altri
volevano che facesse, a dire e a pensare quello che era giusto dire e pensare.
Ad essere tollerante, a controllarsi, ad eliminare ogni forma di aggressività,
a rispettare le regole. A nascondersi, gli dice il fratello. Dato che le sue
certezze non vengono mai meno, deve cercare lo sbaglio in sé stesso o un
colpevole, un motivo che ha portato a tutto ciò.
La scrittura di Roth è densa, inizialmente difficile
da digerire, ma poco la volta entra dentro, talmente dentro da coinvolgere il
lettore che non si sia arreso alle prime difficoltà.